Ragade anale

La ragade anale è una ulcerazione dell’ano che colpisce con una modesta prevalenza il sesso maschile ed ha la massima incidenza fra la 3° e 5° decade di vita.

Cause

l’etiologia della ragade anale è ancora dibattuta ma sembra prevalere l’ipotesi legata alla primitiva formazione di una ferita del canale anale dovuta a una o più evacuazioni difficili, la quale diventa poi una piaga a seguito dello spasmo reattivo dello sfintere anale e dell’ischemia che ne consegue.

La distribuzione vascolare del canale anale, più rarefatta posteriormente e anteriormente, determina la localizzazione della ragade: nell’80% circa a livello della parete posteriore del canale anale e nel 10% a livello della parete anteriore.

Se presente in altre sedi e con caratteristiche peculiari può invece essere l’espressione di una malattia sistemica come il cancro dell’ano, la tubercolosi, la malattia di Crohn e la sifilide.

Sintomi

Dal punto di vista clinico, a seconda della fase evolutiva, si distinguono una ragade acuta e cronica. Il quadro clinico della ragade anale è comunque sempre caratterizzato da:

Si può manifestare come “bruciore” nella zona anale oppure come un dolore di tipo crampiforme. Esso compare durante la defecazione, poi dopo un intervallo libero di 5-10 minuti, riprende e si accentua progressivamente fino a diventare molto forte.

Infine si attenua lentamente nell’arco di ore, e regredisce completamente prima della successiva evacuazione.

Nelle ragadi acute è molto più evidente, nelle forme croniche invece è più moderata o apparentemente assente.

in genere di scarsa entità al termine della evacuazione ed è di colore rosso vivo.

Il paziente, spesso inconsciamente, per evitare l’eccessivo dolore e a causa dell’ipertono anale tende a frazionare l’evacuazione dando la sensazione di non aver espulso tutto il contenuto rettale. Questo porta a un senso di peso perineale che accentua la sintomatologia.

Diagnosi

La visita, a causa dell’estremo dolore provato dal paziente, va condotta con la massima delicatezza: si divaricano lentamente le pliche anali fino ad apprezzare le lesioni tipiche della ragade:

  1. una marisca esterna, distale rispetto alla ferita, che viene chiamata  “emorroide sentinella” anche se non si tratta di tessuto vascolare. In genere questa formazione è l’unica che il paziente percepisce e che lo convince di essere affetto semplicemente da emorroidi.
  2. una ferita del canale anale, di forma triangolare, spesso posteriore (commissura posteriore).
    Se la ragade è acuta la ferita è superficiale, facilmente sanguinante, a bordi non rilevati; nella forma cronica invece la lesione è di tipo calloso con bordi ispessiti, poco sanguinante e molto profonda, tanto da far apprezzare in molti casi le fibre dello sfintere anale interno.

Si procede poi all’esplorazione del canale anale che causa sempre dolore e che permette solo una breve palpazione delle strutture anorettali.

Si può tuttavia apprezzare:

  1. una papilla anale ipertrofica disposta subito al di sopra del margine superiore della ferita e che costituisce l’ultimo componente della triade clinica “classica”. È una iperplasia delle papille normalmente presenti a livello della linea pettinata del canale anale.
  2. un ipertono anale, più accentuato nella forma acuta.    

Si possono associare altre patologie del canale anale:

  • Ascesso della ragade con o senza fistola: è apprezzabile a livello della ferita per la fuoriuscita di pus e per la tumefazione più profonda rispetto alla ferita da cui deriva.
  • Trombosi emorroidaria: noduli del plesso emorroidario esterno di consistenza dura, di colorito bluastro e dolorabili, conseguenza della congestione venosa che si associa all’ipertono anale.

 

A questo punto, è inutile proseguire la visita con un’anoscopia che comunque non aggiunge nulla per la formulazione della diagnosi e risulta molto fastidiosa per il paziente.

Raramente è necessario ricorrere a una manometria anorettale per diagnosticare l’ipertono anale.

L’esame strumentale potrebbe invece essere utile, in vista dell’intervento chirurgico, per documentare lo stato pressorio degli sfinteri e dimostrare  la regolarizzazione del tono anale a un controllo post-operatorio.

Terapia

Escluso il trattamento chirurgico non esiste una terapia sicuramente efficace.

È importante però procedere gradualmente nella gestione della terapia per dare comunque una possibilità di guarigione con metodi non invasivi. In ogni caso, proprio perché la causa della ragade è rappresentata da un ipertono anale e da una ischemia vascolare locale, tutti i trattamenti hanno come scopo proprio la risoluzione dello spasmo sfinteriale e l’aumento dell’apporto vascolare alla ferita anale.

Questi sono i punti cruciali per la guarigione della ragade. È evidente che le forme acute avranno una maggiore possibilità di guarigione con la terapia medica, e che invece buona parte delle forme croniche dovrà essere trattata con l’intervento chirurgico.

Terapia medica:

Primo livello, dal quale non si può prescindere per passare ai trattamenti più invasivi.

Inizialmente è importante risolvere il sintomo che più infastidisce il paziente, cioè il dolore.

Si procederà quindi con la prescrizione di farmaci sintomatici: FANS, antidolorifici, se servono antibiotici e cortisone.

Si associano sempre delle fibre o un lassativo per rendere le evacuazioni meno dolorose e permettere il completo svuotamento dell’ampolla rettale.

Farmaci curativi:

Contemporaneamente si prescrivono i farmaci curativi: pomata alla nitroglicerina 0.2% o 0.4% e pomata alla nifedipina: determinano una riduzione del tono anale che viene anche denominata sfinterotomia chimica.

Parachirurgica:

può essere considerato un secondo livello terapeutico e comprende l’iniezione intrasfinterica di tossina botulinica e l’uso di dilatatori.

Chirurgica:

è sicuramente la terapia più efficace. Prevede l’asportazione della ragade e la sfinterotomia interna fino alla linea pettinata. L’approccio può essere laterale sinistro oppure posteriore. Quest’ultimo, considerato più comodo perché si evita una seconda ferita anale rispetto a quella dell’asportazione della ragade, viene completato con una anoplastica secondo Arnous.

INCONTINENZA URINARIA

L’Incontinenza urinaria è la perdita involontaria dell’urina, obiettivamente dimostrabile e di entità tale da costituire un problema igienico e sociale.

Tale problema, molto più frequente nelle donne, negli ultimi anni ha raggiunto un significativo livello di coscienza sociale e medica.

L’incidenza in Europa e America va dal 10 al 58% nella popolazione femminile ed è intorno al 3% in quella maschile, con prevalenza al di sopra dei 60 anni e negli anziani, in particolare se residenti in luoghi di cura.

Classificazione

Cause

Per l’incontinenza da stress sono: l’età, la gravidanza, il parto, la menopausa, l’isterectomia e l’obesità; mentre per quella da urgenza sono: un fattore nervoso (deficit del controllo centrale) o una genesi muscolare (alterazione delle fibre nervose della muscolatura liscia detrusoriale).

Problematiche

Anamnesi

Consente di raccogliere informazioni riguardo alle malattie pregresse e attuali, la ricostruzione dei problemi neurologici e uroginecologici, in particolare la storia ostetrica e ginecologica: numero di gravidanze, tipo di parto (spontaneo o cesareo), problemi legati al parto (distocico, macrosomia del bambino, uso del forcipe, lacerazioni perineali, episiotomia), informazioni riguardanti il ciclo mestruale e lo stato menopausale.

Allo scopo di registrare con precisione la frequenza e il carattere della minzione e della perdita di urina è utile far tenere alle pazienti un diario su cui annotare le volte in cui urinano, i volumi, la perdita di urina, la presenza o l’assenza di minzione urgente, l’attività, il tipo e il volume di liquidi assunti nelle 24 ore.

Il metodo più semplice per classificare l’incontinenza urinaria è quello che la suddivide in tre gradi:

Esame clinico

Si basa su una valutazione dello stato generale della paziente, sull’esame neurologico (funzione sensoriale, funzione motoria e riflessi), sull’esame ginecologico, sull’esame delle urine e urinocoltura e su alcuni tests (stress test, valutazione del residuo minzionale e la prova del tampone di cotone o Q tip-test).

Il Q tip-test serve per valutare la mobilità uretrale e consiste nella introduzione, attraverso il meato uretrale esterno adeguatamente deterso, di un tampone sterile; alla paziente viene chiesto di sforzarsi e si registra il grado di flessione del tampone rispetto al piano orizzontale.

Un angolo superiore a 30 gradi è indicativo d’ipermobilità uretrale.

Prove urodinamiche

È un esame che non fa parte necessariamente della valutazione iniziale di una incontinenza urinaria, ma è indicata per un ulteriore inquadramento quando la terapia non è efficace, nelle forme miste, nei pazienti con precedenti interventi chirurgici falliti, nei casi di pazienti con disordini neurologici noti o sospetti e nel prolasso degli organi pelvici prima di una correzione chirurgica.

L’esame consiste in due tempi: la uroflussimetria e la cistomanometria.

La uroflussimetria serve soprattutto per identificare i pazienti con disfunzione minzionale.

Si chiede alla paziente di presentarsi con un sufficiente riempimento vescicale e le si chiede di urinare in un contenitore: si valutano la percentuale di flusso, il tempo di flusso, e il volume delle urine emesse.

La cistomanometria è uno studio multicanale che indaga la funzione del detrusore e studia la pressione dell’uretra dal collo vescicale al meato esterno, la lunghezza funzionale dell’uretra (distanza entro la quale la pressione dell’uretra supera quella vescicale), la massima pressione uretrale di chiusura e il valsalva leak point pressure (pressione alla quale si verifica la perdita di urina).

L’esame permette una maggiore definizione diagnostica per pianificare una strategia terapeutica distinguendo una incontinenza da stress da ipermobilità uretrale, una incontinenza da stress da compromissione della attività dello sfintere uretrale intrinseco, una incontinenza da urgenza e le forme miste.

Cistouretroscopia

Permette di effettuare una valutazione della vescica e dell’uretra e di diagnosticare lesioni benigne e maligne che potrebbero sfuggire all’anamnesi, all’esame clinico e alle prove urodinamiche.

Soluzioni

Trattamento conservativo

Gli esercizi di Kegel (contrarre i muscoli 15 volte x tre volte al giorno, ogni volta per 8 secondi e rilasciare per 4 secondi, non contraendo i muscoli addominali) possono essere utili sia in caso d’incontinenza da stress che d’incontinenza da urgenza.

Il biofeedback, cioè il ritorno visivo, attraverso un monitor,  del lavoro muscolare del pavimento pelvico, associato a questi esercizi sembra aumentare di molto l’efficacia del trattamento.

L’elettrostimolazione con la presa di coscienza del pavimento pelvico rappresenta un buon trattamento coadiuvante.

Dal punto di vista farmacologico possono essere impiegati farmaci anticolinergici e antagonisti dei recettori muscarinici.

Vengono impiegati soprattutto nell’incontinenza da urgenza o miste.

Il risultato del trattamento consiste nella riduzione del numero delle minzioni giornaliere, del numero di episodi d’incontinenza e nell’aumento del volume medio urinato per minzione.

Nelle donne in post-menopausa possono risultare efficaci gli estrogeni per via sistemica o topica.

Infine una soluzione temporanea è rappresentata dal sollevamento del collo vescicale con l’inserzione intravaginale di un pessario.

Trattamento chirurgico

È principalmente riservata all’incontinenza da stress.

Il razionale delle tecniche chirurgiche si basa sul riposizionamento del collo vescicale ridando all’uretra prossimale una posizione intra-addominale e ristabilendo l’angolo uretrovescicale.

A questo si aggiunge, di solito, la correzione di tutte le altre patologie genitali coesistenti come un cistocele, un rettocele, un descensus uterino, etc.

Attualmente si predilige il ripristino del supporto dell’uretra media con uno sling.

Nel caso d’incontinenza sfinteriale si ricorre alle iniezioni periuretrali di Teflon, grasso autologo, collagene o silicone.

Altre tecniche:

La neuromodulazione sacrale presenta una efficacia clinica nella iperattività vescicale e nelle disfunzioni urinarie.

Si tratta di una stimolazione attraverso sonde trans-vaginali o con elettrodi posizionati al 3° forame sacrale collegati con un pace-maker emanante impulsi a bassa frequenza variabile da con tempi di applicazione della corrente di 300-500 ?sec.

Prolasso degli organi pelvici

Colpocele anteriore:

Si può distinguere un colpocele basso e uno medio-alto.

Il primo è dovuto a un uretrocele, cioè al basculamento dell’uretra nella sua porzione terminale, che è la chiara testimonianza del cedimento dei suoi tessuti di sostegno e che è alla base della incontinenza urinaria da sforzo.

Lo stesso avviene, in parte, ma con il coinvolgimento della fascia pubo-cervicale per il colpocele medio-alto che è rappresentato dal cistocele.

In questo caso il pavimento vescicale prolassa verso il basso dando il “bombè” vaginale ma raramente l’incontinenza urinaria.

Anzi spesso si verifica una forma di disuria da compressione e quasi sempre è presente un ristagno urinario post-minzionale.

Prolasso apicale:

È il prolasso dell’utero e, in caso di pregressa isterectomia, della cupola vaginale.

Il primo caso è il frutto del cedimento dei sistemi di ancoraggio dell’utero, mentre il secondo è la conseguenza dell’asportazione dell’utero e, a volte, del mancato ancoraggio della cupola a fine intervento (Mc Call).

In entrambi i casi il motivo del prolasso è legato al disinserimento dei legamenti utero-sacrali e cardinali.

Colpocele posteriore:

può essere dovuto a un rettocele, a un enterocele o a entrambi.

Il trattamento in questi casi è spesso chirurgico.

Il tipo di correzione e riparazione dei supporti spesso si associa a un intervento per incontinenza urinaria. Infatti raramente si riscontra un difetto isolato in un’area del pavimento pelvico; più frequentemente sono presenti difetti multipli.

Lo scopo del chirurgo dovrebbe essere la risoluzione dei sintomi accusati dalla paziente, associata a un ripristino di una anatomia e fisiologia normali.

Fin dalla loro introduzione oltre un secolo fa, la colporrafia anteriore e quella posteriore restano le procedure più frequentemente eseguite per il prolasso ginecologico.

Una particolare attenzione al supporto paravaginale, al supporto vaginale apicale e al supporto del corpo perineale combinati con la conservazione dell’integrità neuromuscolare del pavimento pelvico e degli organi pelvici sta emergendo nella chirurgia del prolasso degli organi pelvici.

IL PARTO COME CAUSA D'INCONTINENZA

Il parto, pur essendo un evento fisiologico e di pertinenza ostetrica e ginecologica, riguarda abbastanza spesso il colonproctologo per le sue complicanze, immediate o tardive.

Tenendo presente il rapporto parto/pavimento pelvico/coloproctologia i disordini della defecazione conseguenti al parto più frequenti saranno l’incontinenza fecale e la stipsi da ostruita defecazione. A essi si associa in quote non trascurabili l’incontinenza urinaria e fecale.

La possibilità che il problema si manifesta aumenta ovviamente con il numero di gravidanze, essendo associato a una diminuzione della forza muscolare e a una alterazione della posizione degli organi pelvici.

L’entità del problema non è da sottovalutare sia nelle ripercussioni immediate, a ridosso del puerperio, sia in quelle tardive, in età post-menopausale.

L’incontinenza post-partum, a distanza di un anno dall’evento, perdura come incontinenza ai gas nel 6,3% delle primipare e, nella forma più grave d’incontinenza alle feci, in circa l’1%. L’incidenza è però il risultato di una riduzione progressiva dei sintomi nei primi sei mesi, perché a dire il vero la semplice presenza di almeno un sintoma, nell’immediato periodo post-partum, compare in circa il 25% dei casi.

Cause

1. Lacerazioni perineali di III-IV grado:

lesioni dello sfintere anale esterno e/o dello sfintere anale interno sono i reperti più comuni.

Fattori di rischio per lesioni sfinteriali anali sono l’uso del forcipe, la nulliparità, l’episiotomia mediana, la macrosomia fetale.

Analogamente lacerazioni occulte di strutture muscolari, ligamentose, fasciali possono ledere il pavimento pelvico provocando difetti di supporto del pavimento pelvico.

2. Stiramento muscolo-fasciale e delle strutture nervose (plesso lombo-sacrale e nervo pudendo) durante il travaglio.

Si ricordi che da S2-S4 parte l’innervazione diretta al muscolo pubo-rettale, con branche nervose adagiate sulla superficie ventrale del muscolo elevatore dell’ano e che i rami motori del nervo pudendo sono destinati anche allo sfintere anale esterno.

Pertanto, se strutture nervose e muscolo-fasciali del pavimento pelvico possono essere traumatizzate durante il parto, ovvie sono le conseguenze negative sulla defecazione proprio per deficit di alcune strutture primarie deputate alla continenza, quali sono il nervo pudendo e l’elevatore dell’ano.

E che le lesioni occulte da trauma da parto siano un problema, lo si evince da una semplice considerazione: anche in assenza di alterazioni della continenza il 15,2% delle puerpere evidenzia lesioni sfinteriali anali ecograficamente rilevabili.

Non c’è quindi da meravigliarsi se una puerpera presenti gradi d’incontinenza fecale anche in assenza di lacerazioni perineali o di episiotomie improprie.

Prevenzione e terapia

L’incontinenza urinaria e fecale NON sono una conseguenza naturale dell’invecchiamento o dell’avere figli, ma possono giovarsi di trattamenti non invasivi alternativi alla chirurgia.

Soltanto dopo la valutazione clinico-strumentale, si potrà impostare l’adeguato trattamento terapeutico. Utile considerazione preliminare è che una meta-analisi recente, condotta sull’uso di esercizi chinesiterapici pre-partum mirati sul pavimento pelvico, non ne ha evidenziato l’utilità nel ridurre l’incidenza d’incontinenza fecale post-partum.

Il primo passo è, di solito, la terapia riabilitativa, punto ormai indiscusso a livello internazionale. Soltanto nei casi d’insuccesso riabilitativo e nei casi clinici più gravi (con multiple lesioni sfinteriali) è ragionevole proporre le varie opzioni chirurgiche, in una logica sequenza fino alle soluzioni più sofisticate, quali lo sfintere anale artificiale o la neuromodulazione sacrale.

Bisogna inoltre sottolineare come il trattamento riabilitativo dell’incontinenza fecale sia, attualmente, multimodale.

In base al profilo fisiopatologico e sulla guida della manometria anorettale si utilizzano in varia combinazione tra loro le differenti tecniche riabilitative: il biofeedback e la chinesiterapia pelvi-perineale sono indicati in presenza di ridotti profili pressori basali del canale anale e/o di debole contrazione volontaria sfinterica, la riabilitazione volumetrica si utilizza nei casi con alterata percezione del bolo fecale e/o ridotta compliance rettale, l’elettrostimolazione trova, infine, indicazione, come trattamento propedeutico al biofeedback e alla chinesiterapia, nelle pazienti che necessitino di migliorare la percezione del piano perineale.

Per quanto riguarda la successione delle tecniche riabilitative, l’usuale sequenza delle procedure, modificata però in base all’esigenza delle singole pazienti, è:

Fisiochinesiterapia:

è finalizzata a un migliore utilizzo dell’elevatore dell’ano ed è preceduta da un training d’apprendimento destinato a informare la paziente e a istruirla in modo da proseguire il lavoro a domicilio, durante e dopo il ciclo di trattamento.

Biofeedback:

è una guida diretta per la paziente.

Le permette infatti di rilevare l’attività muscolare del piano perineale durante la contrazione, attraverso un codice lettura visivo e sonoro e di apportare le eventuali correzioni, suggerite dal terapista.

Tale rilevazione viene eseguita con l’ausilio di sonde mono-paziente, scelte in base alla patologia.

Elettrostimolazioni:

è un esercizio passivo che serve per rafforzare la capacità di contrazione della muscolatura perineale.

Con l’ausilio di sonde dedicate vengono stimolati i muscoli perineali in modo da fargli riacquistare la loro naturale tonicità.

Il percorso della paziente incontinente è quindi ben delineato, con un trattamento terapeutico calibrato sulla fisiopatologia e sulla gravità dell’incontinenza.

Rimane da affrontare un ultimo punto: quale tipo di parto è da suggerire in donne che abbiano già avuto incontinenza fecale post-partum?

Naturalmente la risposta appare molto semplice per quei casi in cui vi sia già stata una sfinteroplastica, ma altrettanto motivata è per quelle donne con lesioni occulte sfinteriali: il rischio d’incontinenza fecale dopo un secondo parto per via vaginale è estremamente elevato e, in questi casi, dovrebbe essere suggerito il parto cesareo in elezione.