Incontinenza fecale

Incontinenza Fecale

Per incontinenza fecale si intende il passaggio involontario e ricorrente di materiale fecale, per almeno un mese, in un soggetto che abbia più di quattro anni.

La prevalenza del problema sembra essere di almeno il 2.2% nella popolazione generale e di almeno il 47% nei pazienti che si trovano in luoghi di lungodegenza.

Cause

Diagnosi

Per una corretta impostazione del piano terapeutico è fondamentale inquadrare l’incontinenza fecale dal punto di vista della gravità e delle cause.

Il grado d’incontinenza si calcola con uno “score” basato sulla scala di Wexner e che include il tipo d’incontinenza (il soiling, per i gas, per le feci liquide, per le feci solide) e la frequenza degli episodi d’incontinenza (raramente, a volte, spesso, sempre).

Si otterrà in questo modo un punteggio che identifica l’incontinenza.

Lo studio delle cause dell’incontinenza passa attraverso esami strumentali in grado di valutare l’integrità delle strutture nervose e muscolari del pavimento pelvico con lo studio della loro funzione e morfologia.

È fondamentale conoscere:

I principali esami utilizzati nella diagnosi dell’incontinenza fecale sono:

Problematiche

Meccanismo della continenza fecale:

La continenza fecale si basa sulla coordinazione di numerosi fattori che comprendono l’integrità delle funzioni corticali superiori, la consistenza e il volume delle feci, la velocità del transito colico, la compliance rettale, l’integrità dell’apparato sfinteriale anale, delle funzioni sensoriali e dei riflessi ano-rettali.

Una alterazione di questo meccanismo a uno o più livelli può causare incontinenza. In condizioni normali e durante il riempimento dell’ampolla rettale, la continenza è garantita dalla contrazione dello sfintere anale interno (SAI) e dall’effetto di chiusura dei pacchetti emorroidari fisiologici.

Durante il riempimento dell’ampolla rettale, la distensione delle pareti di quest’ultima induce il riflesso retto-anale inibitorio con rilasciamento dello SAI.

In questo modo, una piccola quantità di materiale fecale può venire a contatto con la mucosa del canale anale, ricca di terminazioni nervose sensitive.

Grazie a questo meccanismo siamo in grado di differenziare le feci dai gas e decidere se defecare o meno.

Se si decide di non defecare la contrazione dello sfintere anale esterno, volontario, rimanda all’interno il materiale fecale e viene posticipato lo stimolo.

Invece, al momento della defecazione si verifica un sinergismo tra la contrazione del colon-retto e il rilasciamento degli sfinteri e del muscolo puborettale permettendo, con la spinta del torchio addominale e la posizione accovacciata, l’espulsione delle feci.

Quindi la continenza fecale è un fenomeno complesso influenzato dalla consistenza e dal volume delle feci che giungono nel retto, determinati, a loro volta, in parte dalla motilità, secrezione e capacità di assorbimento del piccolo e grosso intestino.

La capacità a contenere volumi di materiale fecale, detta compliance del retto, condiziona il numero delle evacuazioni: in caso di proctite, ad esempio, c’è un più rapido passaggio delle feci e il rischio d’incontinenza aumenta; invece, al contrario, quando è presente un megaretto si riduce la sensibilità rettale e c’è la tendenza all’accumulo fecale.

Soluzioni

Terapia medica:

si consiglia l’eliminazione del latte e dei latticini; l’aumento dell’apporto di fibre; l’utilizzo di supposte, lassativi e clisteri; la prescrizione di loperamide nel caso di transito accelerato.

Riabilitazione pelvi-perineale:

In genere si usa una combinazione di diverse tecniche riabilitative:

  • il biofeedback e la chinesiterapia pelvi-perineale sono indicati in presenza di ridotti profili pressori basali del canale anale e/o  di debole contrazione volontaria sfinterica,
  • la riabilitazione volumetrica si utilizza nei casi con alterata  percezione del bolo fecale e/o ridotta compliance rettale,
  • l’elettrostimolazione trova, infine, indicazione, come trattamento propedeutico al biofeedback e alla chinesiterapia, nei pazienti che necessitino di migliorare la percezione del piano perineale.

Neuromodulazione sacrale:

Questa terapia modulare, di cui ancora non si conosce completamente il meccanismo d’azione, oltre a essere uno stimolo sulle fibre muscolari dello sfintere anale, determina una modulazione, cioè una “reimpostazione”, del sistema nervoso autonomo a livello dei plessi sacrali che sono deputati al controllo sia della funzione anorettale sia di quella uretro-vescicale.

In effetti sono stati proprio gli urologi all’inizio degli anni ’90 a scoprire le funzioni benefiche sull’attività ano-rettale della neuromodulazione sacrale nelle pazienti affette da incontinenza urinaria, cistite interstiziale e/o sindrome della frequenza/urgenza urinaria.

La neuromodulazione sacrale prevede due fasi: una fase di test e una fase d’impianto del dispositivo.

Durante la fase di test di elettrostimolazione periferica del nervo sacrale (PNE), che dura almeno un mese, viene valutata l’efficacia della metodica sulla funzione anorettale.

In caso di positività al PNE si procede all’impianto definitivo.

La tecnica consiste, grazie a reperi ossei ben precisi e a controlli radiologici, nel posizionamento di un ago elettrificato nel 3° forame sacrale collegato a un elettrostimolatore esterno.

In caso d’impianto definitivo, all’ago già inserito per il PNE, si collega un erogatore di corrente a batteria che viene alloggiato in una tasca creata chirurgicamente.

Trattamento chirurgico:

la chirurgia viene in genere presa in considerazione solo dopo aver tentato terapie meno invasive.

Tecniche chirurgiche

Le tecniche chirurgiche a disposizione sfruttano gli sfinteri o i muscoli del pavimento pelvico procedendo a riparazioni delle lesioni o delle alterazioni muscolari (sfinteroplastica, levatorplasty, post-anal repair, total pelvic floor repair).

Nel caso non ci sia spazio per una riparazione dei muscoli del pavimento pelvico si deve procedere o a trasposizioni muscolari oppure all’impianto di uno sfintere artificiale.

La sfinteroplastica è il trattamento più popolare ed è particolarmente indicato quando è presente un danno limitato di origine post-traumatica, post-chirurgica o post-ostetrica. Il successo della tecnica è di circa l’80% anche se con il passare del tempo si registra un progressivo deterioramento della funzionalità.

Nei casi di danni sfinteriali da causa ostetrica, i risultati sono meno buoni, probabilmente perché è presente una componente di denervazione dovuta al trauma ostetrico e all’età più avanzata delle pazienti.

La levatorplasty rinforza anteriormente all’ano-retto il pavimento pelvico suturando il muscolo elevatore dell’ano e i tessuti fasciali circostanti sulla linea mediana e ricostruendo il setto retto-vaginale.

Il post-anal repair, attraverso la ricostruzione del piano perineale posteriore, aumenta la capacità contrattile della fionda del muscolo pubo-rettale e la lunghezza della zona ad alta pressione anale.

Queste ultime sono tecniche indicate per la sindrome del perineo discendente in assenza di lesioni degli sfinteri anali.

Il total pelvic floor repair associa tutte e tre le tecniche precedenti.

La gracileplastica è una trasposizione muscolare che sfrutta le caratteristiche del muscolo gracile per creare un neosfintere e con stimoli elettrici trasformarlo da muscolo facilmente affaticabile in un muscolo resistente alla fatica.

È possibile utilizzare anche il gluteo che per la sua funzione sinergica nella continenza è molto adatto a sostituire uno sfintere anale non funzionante o danneggiato.

È indicata nelle lesioni multiple degli sfinteri, nelle forme idiopatiche o neurogene d’incontinenza, nelle malformazioni anorettali e nella ricostruzione dopo intervento di amputazione addomino-perineale secondo Miles.

Lo sfintere anale artificiale è riservata ai pazienti incontinenti da lesioni multiple o estese degli sfinteri in cui residui poco tessuto muscolare sano oppure dopo precedenti sfinteroplastiche fallite.

L’impianto di sfintere anale artificiale implica un training post-operatorio con cui il paziente deve imparare ad aprire lo sfintere azionando una pompa alloggiata nel grande labbro o nello scroto.

Lo sfintere artificiale è composto da una cuffia posta intorno al canale anale che occlude il canale stesso una volta gonfiata dal fluido presente nel sistema.

Quando il paziente decide di evacuare, deve premere e rilasciare ripetutamente la pompa, permettendo in questo modo al fluido di passare dalla cuffia al pallone serbatoio. In tal modo la cuffia sgonfia permetterà il passaggio delle feci attraverso il canale anale. Successivamente il fluido ripasserà spontaneamente dal serbatoio alla cuffia, occludendo nuovamente il canale anale.

La percentuale di successo va dal 55% al 83% dei casi.

INCONTINENZA URINARIA

L’Incontinenza urinaria è la perdita involontaria dell’urina, obiettivamente dimostrabile e di entità tale da costituire un problema igienico e sociale.

Tale problema, molto più frequente nelle donne, negli ultimi anni ha raggiunto un significativo livello di coscienza sociale e medica.

L’incidenza in Europa e America va dal 10 al 58% nella popolazione femminile ed è intorno al 3% in quella maschile, con prevalenza al di sopra dei 60 anni e negli anziani, in particolare se residenti in luoghi di cura.

Cause

Per l’incontinenza da stress sono: l’età, la gravidanza, il parto, la menopausa, l’isterectomia e l’obesità; mentre per quella da urgenza sono: un fattore nervoso (deficit del controllo centrale) o una genesi muscolare (alterazione delle fibre nervose della muscolatura liscia detrusoriale).

Problematiche

Anamnesi

Consente di raccogliere informazioni riguardo alle malattie pregresse e attuali, la ricostruzione dei problemi neurologici e uroginecologici, in particolare la storia ostetrica e ginecologica: numero di gravidanze, tipo di parto (spontaneo o cesareo), problemi legati al parto (distocico, macrosomia del bambino, uso del forcipe, lacerazioni perineali, episiotomia), informazioni riguardanti il ciclo mestruale e lo stato menopausale.

Allo scopo di registrare con precisione la frequenza e il carattere della minzione e della perdita di urina è utile far tenere alle pazienti un diario su cui annotare le volte in cui urinano, i volumi, la perdita di urina, la presenza o l’assenza di minzione urgente, l’attività, il tipo e il volume di liquidi assunti nelle 24 ore.

Il metodo più semplice per classificare l’incontinenza urinaria è quello che la suddivide in tre gradi:

Esame clinico

Si basa su una valutazione dello stato generale della paziente, sull’esame neurologico (funzione sensoriale, funzione motoria e riflessi), sull’esame ginecologico, sull’esame delle urine e urinocoltura e su alcuni tests (stress test, valutazione del residuo minzionale e la prova del tampone di cotone o Q tip-test).

Il Q tip-test serve per valutare la mobilità uretrale e consiste nella introduzione, attraverso il meato uretrale esterno adeguatamente deterso, di un tampone sterile; alla paziente viene chiesto di sforzarsi e si registra il grado di flessione del tampone rispetto al piano orizzontale.

Un angolo superiore a 30 gradi è indicativo d’ipermobilità uretrale.

Prove urodinamiche

È un esame che non fa parte necessariamente della valutazione iniziale di una incontinenza urinaria, ma è indicata per un ulteriore inquadramento quando la terapia non è efficace, nelle forme miste, nei pazienti con precedenti interventi chirurgici falliti, nei casi di pazienti con disordini neurologici noti o sospetti e nel prolasso degli organi pelvici prima di una correzione chirurgica.

L’esame consiste in due tempi: la uroflussimetria e la cistomanometria.

La uroflussimetria serve soprattutto per identificare i pazienti con disfunzione minzionale.

Si chiede alla paziente di presentarsi con un sufficiente riempimento vescicale e le si chiede di urinare in un contenitore: si valutano la percentuale di flusso, il tempo di flusso, e il volume delle urine emesse.

La cistomanometria è uno studio multicanale che indaga la funzione del detrusore e studia la pressione dell’uretra dal collo vescicale al meato esterno, la lunghezza funzionale dell’uretra (distanza entro la quale la pressione dell’uretra supera quella vescicale), la massima pressione uretrale di chiusura e il valsalva leak point pressure (pressione alla quale si verifica la perdita di urina).

L’esame permette una maggiore definizione diagnostica per pianificare una strategia terapeutica distinguendo una incontinenza da stress da ipermobilità uretrale, una incontinenza da stress da compromissione della attività dello sfintere uretrale intrinseco, una incontinenza da urgenza e le forme miste.

Cistouretroscopia

Permette di effettuare una valutazione della vescica e dell’uretra e di diagnosticare lesioni benigne e maligne che potrebbero sfuggire all’anamnesi, all’esame clinico e alle prove urodinamiche.

Soluzioni

Trattamento conservativo

Gli esercizi di Kegel (contrarre i muscoli 15 volte x tre volte al giorno, ogni volta per 8 secondi e rilasciare per 4 secondi, non contraendo i muscoli addominali) possono essere utili sia in caso d’incontinenza da stress che d’incontinenza da urgenza.

Il biofeedback, cioè il ritorno visivo, attraverso un monitor,  del lavoro muscolare del pavimento pelvico, associato a questi esercizi sembra aumentare di molto l’efficacia del trattamento.

L’elettrostimolazione con la presa di coscienza del pavimento pelvico rappresenta un buon trattamento coadiuvante.

Dal punto di vista farmacologico possono essere impiegati farmaci anticolinergici e antagonisti dei recettori muscarinici.

Vengono impiegati soprattutto nell’incontinenza da urgenza o miste.

Il risultato del trattamento consiste nella riduzione del numero delle minzioni giornaliere, del numero di episodi d’incontinenza e nell’aumento del volume medio urinato per minzione.

Nelle donne in post-menopausa possono risultare efficaci gli estrogeni per via sistemica o topica.

Infine una soluzione temporanea è rappresentata dal sollevamento del collo vescicale con l’inserzione intravaginale di un pessario.

Trattamento chirurgico

È principalmente riservata all’incontinenza da stress.

Il razionale delle tecniche chirurgiche si basa sul riposizionamento del collo vescicale ridando all’uretra prossimale una posizione intra-addominale e ristabilendo l’angolo uretrovescicale.

A questo si aggiunge, di solito, la correzione di tutte le altre patologie genitali coesistenti come un cistocele, un rettocele, un descensus uterino, etc.

Attualmente si predilige il ripristino del supporto dell’uretra media con uno sling.

Nel caso d’incontinenza sfinteriale si ricorre alle iniezioni periuretrali di Teflon, grasso autologo, collagene o silicone.

Altre tecniche:

La neuromodulazione sacrale presenta una efficacia clinica nella iperattività vescicale e nelle disfunzioni urinarie.

Si tratta di una stimolazione attraverso sonde trans-vaginali o con elettrodi posizionati al 3° forame sacrale collegati con un pace-maker emanante impulsi a bassa frequenza variabile da con tempi di applicazione della corrente di 300-500 ?sec.

Prolasso degli organi pelvici

Colpocele anteriore:

Si può distinguere un colpocele basso e uno medio-alto.

Il primo è dovuto a un uretrocele, cioè al basculamento dell’uretra nella sua porzione terminale, che è la chiara testimonianza del cedimento dei suoi tessuti di sostegno e che è alla base della incontinenza urinaria da sforzo.

Lo stesso avviene, in parte, ma con il coinvolgimento della fascia pubo-cervicale per il colpocele medio-alto che è rappresentato dal cistocele.

In questo caso il pavimento vescicale prolassa verso il basso dando il “bombè” vaginale ma raramente l’incontinenza urinaria.

Anzi spesso si verifica una forma di disuria da compressione e quasi sempre è presente un ristagno urinario post-minzionale.

Prolasso apicale:

È il prolasso dell’utero e, in caso di pregressa isterectomia, della cupola vaginale.

Il primo caso è il frutto del cedimento dei sistemi di ancoraggio dell’utero, mentre il secondo è la conseguenza dell’asportazione dell’utero e, a volte, del mancato ancoraggio della cupola a fine intervento (Mc Call).

In entrambi i casi il motivo del prolasso è legato al disinserimento dei legamenti utero-sacrali e cardinali.

Colpocele posteriore:

può essere dovuto a un rettocele, a un enterocele o a entrambi.

Il trattamento in questi casi è spesso chirurgico.

Il tipo di correzione e riparazione dei supporti spesso si associa a un intervento per incontinenza urinaria. Infatti raramente si riscontra un difetto isolato in un’area del pavimento pelvico; più frequentemente sono presenti difetti multipli.

Lo scopo del chirurgo dovrebbe essere la risoluzione dei sintomi accusati dalla paziente, associata a un ripristino di una anatomia e fisiologia normali.

Fin dalla loro introduzione oltre un secolo fa, la colporrafia anteriore e quella posteriore restano le procedure più frequentemente eseguite per il prolasso ginecologico.

Una particolare attenzione al supporto paravaginale, al supporto vaginale apicale e al supporto del corpo perineale combinati con la conservazione dell’integrità neuromuscolare del pavimento pelvico e degli organi pelvici sta emergendo nella chirurgia del prolasso degli organi pelvici.

IL PARTO COME CAUSA D'INCONTINENZA

Il parto, pur essendo un evento fisiologico e di pertinenza ostetrica e ginecologica, riguarda abbastanza spesso il colonproctologo per le sue complicanze, immediate o tardive.

Tenendo presente il rapporto parto/pavimento pelvico/coloproctologia i disordini della defecazione conseguenti al parto più frequenti saranno l’incontinenza fecale e la stipsi da ostruita defecazione. A essi si associa in quote non trascurabili l’incontinenza urinaria e fecale.

La possibilità che il problema si manifesta aumenta ovviamente con il numero di gravidanze, essendo associato a una diminuzione della forza muscolare e a una alterazione della posizione degli organi pelvici.

L’entità del problema non è da sottovalutare sia nelle ripercussioni immediate, a ridosso del puerperio, sia in quelle tardive, in età post-menopausale.

L’incontinenza post-partum, a distanza di un anno dall’evento, perdura come incontinenza ai gas nel 6,3% delle primipare e, nella forma più grave d’incontinenza alle feci, in circa l’1%. L’incidenza è però il risultato di una riduzione progressiva dei sintomi nei primi sei mesi, perché a dire il vero la semplice presenza di almeno un sintoma, nell’immediato periodo post-partum, compare in circa il 25% dei casi.

Cause

1. Lacerazioni perineali di III-IV grado:

lesioni dello sfintere anale esterno e/o dello sfintere anale interno sono i reperti più comuni.

Fattori di rischio per lesioni sfinteriali anali sono l’uso del forcipe, la nulliparità, l’episiotomia mediana, la macrosomia fetale.

Analogamente lacerazioni occulte di strutture muscolari, ligamentose, fasciali possono ledere il pavimento pelvico provocando difetti di supporto del pavimento pelvico.

2. Stiramento muscolo-fasciale e delle strutture nervose (plesso lombo-sacrale e nervo pudendo) durante il travaglio.

Si ricordi che da S2-S4 parte l’innervazione diretta al muscolo pubo-rettale, con branche nervose adagiate sulla superficie ventrale del muscolo elevatore dell’ano e che i rami motori del nervo pudendo sono destinati anche allo sfintere anale esterno.

Pertanto, se strutture nervose e muscolo-fasciali del pavimento pelvico possono essere traumatizzate durante il parto, ovvie sono le conseguenze negative sulla defecazione proprio per deficit di alcune strutture primarie deputate alla continenza, quali sono il nervo pudendo e l’elevatore dell’ano.

E che le lesioni occulte da trauma da parto siano un problema, lo si evince da una semplice considerazione: anche in assenza di alterazioni della continenza il 15,2% delle puerpere evidenzia lesioni sfinteriali anali ecograficamente rilevabili.

Non c’è quindi da meravigliarsi se una puerpera presenti gradi d’incontinenza fecale anche in assenza di lacerazioni perineali o di episiotomie improprie.

Prevenzione e terapia

L’incontinenza urinaria e fecale NON sono una conseguenza naturale dell’invecchiamento o dell’avere figli, ma possono giovarsi di trattamenti non invasivi alternativi alla chirurgia.

Soltanto dopo la valutazione clinico-strumentale, si potrà impostare l’adeguato trattamento terapeutico. Utile considerazione preliminare è che una meta-analisi recente, condotta sull’uso di esercizi chinesiterapici pre-partum mirati sul pavimento pelvico, non ne ha evidenziato l’utilità nel ridurre l’incidenza d’incontinenza fecale post-partum.

Il primo passo è, di solito, la terapia riabilitativa, punto ormai indiscusso a livello internazionale. Soltanto nei casi d’insuccesso riabilitativo e nei casi clinici più gravi (con multiple lesioni sfinteriali) è ragionevole proporre le varie opzioni chirurgiche, in una logica sequenza fino alle soluzioni più sofisticate, quali lo sfintere anale artificiale o la neuromodulazione sacrale.

Bisogna inoltre sottolineare come il trattamento riabilitativo dell’incontinenza fecale sia, attualmente, multimodale.

In base al profilo fisiopatologico e sulla guida della manometria anorettale si utilizzano in varia combinazione tra loro le differenti tecniche riabilitative: il biofeedback e la chinesiterapia pelvi-perineale sono indicati in presenza di ridotti profili pressori basali del canale anale e/o di debole contrazione volontaria sfinterica, la riabilitazione volumetrica si utilizza nei casi con alterata percezione del bolo fecale e/o ridotta compliance rettale, l’elettrostimolazione trova, infine, indicazione, come trattamento propedeutico al biofeedback e alla chinesiterapia, nelle pazienti che necessitino di migliorare la percezione del piano perineale.

Per quanto riguarda la successione delle tecniche riabilitative, l’usuale sequenza delle procedure, modificata però in base all’esigenza delle singole pazienti, è:

Fisiochinesiterapia:

è finalizzata a un migliore utilizzo dell’elevatore dell’ano ed è preceduta da un training d’apprendimento destinato a informare la paziente e a istruirla in modo da proseguire il lavoro a domicilio, durante e dopo il ciclo di trattamento.

Biofeedback:

è una guida diretta per la paziente.

Le permette infatti di rilevare l’attività muscolare del piano perineale durante la contrazione, attraverso un codice lettura visivo e sonoro e di apportare le eventuali correzioni, suggerite dal terapista.

Tale rilevazione viene eseguita con l’ausilio di sonde mono-paziente, scelte in base alla patologia.

Elettrostimolazioni:

è un esercizio passivo che serve per rafforzare la capacità di contrazione della muscolatura perineale.

Con l’ausilio di sonde dedicate vengono stimolati i muscoli perineali in modo da fargli riacquistare la loro naturale tonicità.

Il percorso della paziente incontinente è quindi ben delineato, con un trattamento terapeutico calibrato sulla fisiopatologia e sulla gravità dell’incontinenza.

Rimane da affrontare un ultimo punto: quale tipo di parto è da suggerire in donne che abbiano già avuto incontinenza fecale post-partum?

Naturalmente la risposta appare molto semplice per quei casi in cui vi sia già stata una sfinteroplastica, ma altrettanto motivata è per quelle donne con lesioni occulte sfinteriali: il rischio d’incontinenza fecale dopo un secondo parto per via vaginale è estremamente elevato e, in questi casi, dovrebbe essere suggerito il parto cesareo in elezione.